Sono passati più di 30 anni da quando Kodansha pubblicò 寄生獣 Kiseijū (anche noto come Parasyte), manga di Hitoshi Iwaaki di per sé breve, ma che ha lasciato la sua impronta nel mondo del fumetto e della fantascienza tutta. L’opera infatti è stata ed è tuttora molto amata per il modo in cui tratta l’idea di un’invasione aliena dove non si sa più di chi fidarsi, l’impatto che questa avrebbe sulla vita quotidiana della gente e tutte le implicazioni filosofiche che si porta dietro, tra cui anche cosa possiamo definire vita, intelligenza e parassita, e molto altro.
Dopo i due film live-action del 2014 e 2015, e l’anime dello studio Madhouse uscito in contemporanea (quest’ultimo molto apprezzato dal pubblico), Netflix ci porta Kiseiju – La zona grigia, serie live-action che presenta gli stessi elementi cari al manga ma una storia inedita, con l’approfondimento di alcuni temi. Alla regia Yeon Sang-Ho, regista sudcoreano salito alla ribalta con Train to Busan.
Invece che in Giappone, con un comune liceale come protagonista, la storia prende luogo in Sud Corea ai giorni nostri, nella città portuale di Namil. Jeong Su-in (Jeon So-nee) fa una vita abbastanza ordinaria lavorando come commessa, e si porta sulle spalle il peso di un’infanzia turbolenta per via dei pessimi genitori. Una sera un cliente deviato e violento la assale, investendola e prendendola a coltellate, e per lei sarebbe la fine se non fosse che quella stessa notte i parassiti hanno cominciato a discendere sulla Terra. Uno di questi infatti prende possesso del suo corpo curandole le ferite e salvandola dal suo aggressore, uccidendolo. Normalmente i parassiti arrivano fino al cervello per prendere possesso dell’intero corpo, ma vista l’iniziale situazione disperata si crea una situazione per la quale devono coabitare in simbiosi: l’ospite può prendere coscienza e parlare al posto di Su-in, ma solo per 15 minuti.
L’ispettore Kim Chul-min (Kwon Hae-hyo), praticamente un padre per la ragazza, avendola trovata in uno stato terribile con il suo aggressore morto non riesce a fare luce sulla faccenda, fino a che, mesi dopo l’accaduto, nel suo distretto di polizia non arriva una forza speciale chiamata Grey. La loro leader Choi Jun-kyung (Lee Jung-hyun) si è posta l’obiettivo di eliminare gli infetti e va in prima persona con il fucile spianato a dar loro la caccia; mentre spiega ai poliziotti increduli di cosa dovranno occuparsi d’ora in avanti, a Chul-min cominciano a venire dei sospetti. Come personaggio chiave c’è anche Seol Kang-woo (Koo Kyo-hwan), galoppino di una gang criminale che deve far perdere le sue tracce e torna a casa dalle sue sorelle, di cui una è sparita e l’altra scopriamo subito essere infetta. Finirà per essere protetto dal parassita di Su-in, che verrà chiamato Heidi, e così cominceranno a creare un legame che li porterà avanti mentre nel mondo che li circonda i parassiti cercano di passare inosservati, braccati dalla squadra Grey.
Ritroviamo tutti gli elementi che caratterizzano i parassiti nel fumetto originale, e la trama benché inedita funziona alla grande, con una sceneggiatura ricca di colpi di scena. Rispetto al manga e all’anime, questa serie ha un’azione molto più “plateale”, con grosse sparatorie e inseguimenti in auto anche in piano sequenza, insieme agli immancabili scontri fra parassiti e le loro estremità affilate, e tutte queste scene sono rese molto bene da una regia dinamica (a volte anche troppo: nei primi episodi forse si abusa in po’ della camera a mano), alternate da momenti di forte tensione e altri più leggeri. Gli effetti speciali, soprattutto quelli digitali, sono di grande impatto, e anche quando non molto fotorealistici comunque funzionano e non distraggono dalla storia.
Gli effetti sonori allo stesso modo sono precisi e azzeccati, mentre le musiche pur facendo il loro dovere purtroppo non sono niente di speciale. La recitazione, nei limiti di quello che ho potuto valutare guardando la serie doppiata (in modo comunque eccellente), mi è sembrata complessivamente ottima, con protagonisti e comprimari ben piazzati, e un plauso in particolare va a Jeon So-nee; Lee Jung-hyun ha un personaggio particolare, e per questo va spesso in overacting, ma ci si abitua presto ed è in ogni caso molto brava come il resto del cast.
Come accennato all’inizio, la storia si porta dietro temi importanti: cosa ci definisce come creature viventi, e soprattutto come esseri umani? Sopravvivere significa seguire gli istinti della nostra corteccia primitiva o ha un significato molto più profondo? Inoltre noi a volte non siamo così diversi dagli “ospiti indesiderati” di quest’opera: ci comportiamo come parassiti con il nostro pianeta, prendendo molte più risorse di quante ce ne servano davvero senza favorirne la rigenerazione, anzi, a volte persino ostacolandola. Anche nelle nostre relazioni quotidiane, negli ambienti che frequentiamo e nelle azioni di tutti i giorni come fare la spesa, invece che coabitare ci ritroviamo a vivere sulle spalle di gente sfruttata senza interessarcene, raccontandoci la bugia che “in fondo è inevitabile” e che “le diseguaglianze sono inevitabili”.
In più vengono mostrati alcuni problemi della società sudcoreana, riscontrabili anche altrove, come le sette religiose bigotte, i legami familiari, la depressione e cosa ci spinge a continuare a vivere anche quando sembra che tutto ci vada contro. Un’ulteriore nota di merito va al lato emotivo dei personaggi (sia umani che parassiti che la protagonista mutante), che a parer mio colpisce ancora di più al cuore: ci sono diversi momenti commoventi e in una delle ultime scene del finale mi è scappata persino qualche lacrima.
Insomma, Kiseiju – La zona grigia è una serie che parte da dell’ottimo materiale di partenza e lo trasforma in qualcosa di diverso ma comunque bellissimo. Questa stagione è autoconclusiva, ma alla fine dell’ultimo episodio c’è una sorpresa che potrebbe essere tanto un semplice omaggio quanto l’apripista per una seconda stagione.
Commenta per primo
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e si applicano le Norme sulla Privacy e i Termini di Servizio di Google.