George Miller è imprevedibile, un vero artista. Nel 1981 con Mad Max 2 (seguito del primo da noi arrivato come Interceptor) ha dato il via a un immaginario post-apocalittico destinato a fare scuola: basti pensare a Ken il guerriero, Waterworld, Fallout e innumerevoli altre opere che ne sono derivate; tra il ’95 e il ’98 ha lavorato ai due film del maialino Babe, facendo da produttore e sceneggiatore per entrambi e anche da regista per il secondo; tra il 2006 e il 2011 invece ha fatto da sceneggiatore e regista per i due Happy Feet, non so se ricordate, quei film d’animazione con i pinguini che ballano. Forse saturo di tanta pucciosità, nel 2015 ha poi deciso di tornare al mondo brutale di Mad Max, piantando un’altra pietra miliare nel cinema d’azione con l’acclamato Fury Road.
All’età di 70 anni Miller aveva fatto mangiare la polvere a tutti, e ormai rigettatosi metaforicamente sul campo al grido di “ammiratemi!”, come uno dei suoi Figli di Guerra, chiaramente bramava ancora l’odore della benzina. Invece di accelerare verso un sequel come sembrava lecito aspettarsi, però, questo vecchio burlone ha ingranato con decisione la retromarcia per tornare indietro fino alle origini di Furiosa. Ma come? Perché? Non sono domande da porre a un artista, soprattutto se il risultato finale gli dà ragione.
Furiosa: A Mad Max Saga parte senza troppi fronzoli con il rapimento della protagonista, ancora bambina, dal Luogo Verde in cui è nata. I rapitori fanno parte di un esercito di disgraziati comandati da Dementus, autoproclamato “Signore della Guerra” che gira su una biga trainata da tre moto. Questo accoglie Furiosa tra i suoi trattandola quasi come fosse una figlia adottiva, ma la bambina non vorrebbe far altro che ucciderlo e tornare alla sua terra di origine. Le cose si complicano quando, vagabondando in cerca di risorse, Dementus e la sua orda di motociclisti giungono alla cittadella governata da Immortan Joe, il temuto villain introdotto in Fury Road.
Prima ancora della storia di Furiosa ad affascinare è il mondo stesso in cui si svolge, che qui vede approfonditi alcuni aspetti che nel film precedente erano stati solo tratteggiati. Ad esempio ci vengono mostrate Gas Town e Bullet Farm e scopriamo di più sulle dinamiche di potere che le legano a Immortan Joe, abbiamo una serie di ulteriori dettagli sull’importanza della gestione delle risorse e dei veicoli, e viene detto qualcosa in più su come il mondo è finito. Questo anche perché (in un certo senso coerentemente con il carattere della protagonista) il film è meno testosteronico e irrequieto di Fury Road, e pur offrendo comunque tanta azione ha il tempo di concentrarsi maggiormente sui dialoghi e la trama.
Anya Taylor-Joy eredita alla perfezione il ruolo già interpretato magistralmente da Charlize Theron, consegnandoci una Furiosa a tratti inevitabilmente diversa, ma al tempo stesso familiare, perché in fondo è lei in tutta la sua essenza: fortemente determinata a sopravvivere, ma con in sé ancora quel barlume di umanità che tutti invece sembrano aver perso. Proprio la sopravvivenza è un elemento centrale del film: dal momento in cui la protagonista viene barbaramente strappata dai suoi cari e dal Luogo Verde, si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con la ferocia e l’aridità totale delle terre desolate, dove la morte è sempre dietro l’angolo, rimanendo aggrappata con le unghie e con i denti alla vita.
Per fortuna Furiosa non è cresciuta sotto una campana di vetro e fin da piccola dimostra di essere ben conscia dei pericoli esterni, ed essere stata preparata ad affrontarli. Ciò non toglie che tutte le peripezie affrontate in giovane età l’abbiano per forza di cose segnata e incattivita, costringendola a imparare che questo mondo non fa sconti a nessuno e anche un minimo gesto di pietà può essere fatale. A non farla scivolare nella follia, oltre alla speranza di fare ritorno a casa, è anche l’incontro con Praetorian Jack (un ottimo Tom Burke), altro splendido personaggio del film che sostanzialmente fa da mentore alla protagonista, ridandole quel minimo di fiducia nel prossimo che ormai sembrava impossibile avere.
Nei panni del nuovo villain Dementus invece troviamo un quasi irriconoscibile Chris Hemsworth, che per certi versi si direbbe un Thor di Ragnarok e Love & Thunder che ce l’ha fatta, almeno nel senso che anche qui il personaggio è molto sopra le righe, però risulta irritante per i motivi giusti. Come suggerisce anche il nome, Dementus è idiota e infantile, si lascia trasportare facilmente dall’emotività, ma questo in combinazione con un ego smisurato, la mancanza di morale e una pressoché totale incoscienza ne fa una persona pericolosa e particolarmente adatta a sopravvivere in un contesto come quello di Mad Max. Anche per questo riesce a radunare attorno a sé tanta gente, che pur non rispettandolo davvero trae beneficio dallo stare sotto la sua ala protettrice. Alla stregua di Furiosa, Dementus è attaccato con le unghie e con i denti alla vita, ma nel suo caso solo perché si sente in qualche modo superiore agli altri e pensa che tutto gli spetti di diritto, come un bambino capriccioso, il che lo porta a compiere gli atti più spregevoli ed egoisti, rendendosi destabile per questi piuttosto che per le sue eccentricità.
A confronto, Immortan Joe è quasi rispettabile, qualcuno potrebbe dire uno statista. Interpretato da Lachy Hulme, che ha sostituito Hugh Keays-Byrne purtroppo venuto a mancare nel 2020 (ma tra costume e trucco è difficile accorgersene), il personaggio dimostra di avere quantomeno una sua visione chiara su come portare avanti la società della cittadella, prendendo decisioni razionali e servendosi consapevolmente di uno strumento come la religione per farsi obbedire ciecamente dai suoi Figli di Guerra. Poi che sia tutto estremamente discutibile non c’è dubbio, ma è interessante osservare il confronto presente nel film tra lui e Dementus, entrambi figure al comando ma in modi completamente diversi.
Come già accennato, bella la trama, belli i personaggi, ma l’azione comunque non manca. Anche questa volta Miller ci regala uno spettacolo visivo pazzesco, che sicuramente trova la sua massima espressione sul grande schermo. Il film è crudo, sporco e cattivo, caratterizzato da quelle nevrotiche scene velocizzate che ormai sono un po’ un marchio di fabbrica della saga (come le transizioni di Star Wars), nonché da stunt sempre incredibili. Particolarmente memorabili sono le sequenze dell’inseguimento della blindocisterna e della battaglia a Bullet Farm.
A differenza del film precedente qui si può notare un maggior uso della CGI, che purtroppo toglie quel tanto apprezzato tocco di autenticità che rendeva il tutto più epico, ma al contempo permette al regista di sbizzarrirsi di più con la fantasia. Da notare poi la scelta adottata per la Furiosa bambina: ad interpretarla è la giovane Alyla Browne, ma il suo volto è stato fuso a quello di Anya Taylor-Joy in maniera strabiliante attraverso gli effetti visivi e l’aiuto dell’intelligenza artificiale, facendole sembrare la stessa persona. Di tutti gli esperimenti simili, questo finora è quello che mi ha convinto di più e sono certo che gran parte del pubblico non se ne sia neanche accorto pensando “wow, dove hanno trovato una bambina così simile ad Anya?”. Un intervento di CGI passato più in sordina, ma allo stesso modo sbalorditivo, riguarda anche il Fattore di Bullet Farm: qui lo interpreta Lee Perry, che però ha il volto del precedente attore Richard Carter, deceduto nel 2019.
Simon Duggan contrappone alla brutale violenza di questo mondo una fotografia molto luminosa e colorata, che rende l’atmosfera sicuramente un po’ più artificiosa e vagamente cartoonesca rispetto a quella di Fury Road (curata da John Seale), ma in realtà in linea con la CGI più massiccia, i conseguenti voli di fantasia e la presenza di un villain eccentrico come Dementus. Una precisa scelta stilistica che personalmente non mi è affatto dispiaciuta. Menzione d’onore alla colonna sonora di Tom Holkenborg, che accompagna le scene con brani epicissimi e aggressivi, caratterizzati spesso dalla presenza di tamburi che danno al tutto un’anima tribale.
George Miller dimostra nuovamente che fare film d’azione adrenalinici, pieni di esplosioni e personaggi fuori di testa non vuol dire per forza dover spegnere il cervello. Furiosa al pari di Fury Road è un gioiello cromato e fiammeggiante di cui ogni frame rimane impresso nella memoria per la sua bellezza, e che oltre il divertimento sfrenato (che da solo in realtà annoierebbe) dà allo spettatore dei motivi per sentirsi effettivamente coinvolto nella narrazione, empatizzando con i personaggi e immergendosi appieno nel folle mondo post-apocalittico di Mad Max. Miller ha evidentemente ancora qualcosa da dire su questa saga e potrebbe tornare a stupirci con nuove idee slegate dai personaggi di Max e Furiosa, ma è difficile dirlo per ora. Il vero colpo di scena da maestro sarebbe un ritorno agli animaletti parlanti.
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