Astro Bot – L’inizio di una rivoluzione videoludica? (PS5)

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Voto:

Ammettiamolo una volta per tutte: questa nona generazione di console si sta dimostrando un grande fiasco sotto tanti punti di vista, soprattutto per Sony e la sua ammiraglia PlayStation 5. I motivi risiedono principalmente in scelte aziendali sempre più dubbie, portate avanti prima da un claudicante Jim Ryan e ora dal nuovo CEO Hiroki Totoki. Le recenti gaffe di Sony Interactive Entertainment – legata purtroppo a un’industria ormai votata al mero profitto, a scapito del benessere degli artisti e dei videogiocatori – sono molteplici: a partire dal fallimento totale dell’hero shooter Concord e giungendo all’annuncio di una sovraprezzata PS5 Pro, già bersaglio delle critiche di pubblico e giornalismo di settore.

Volgendo lo sguardo indietro, insomma, questi ultimi quattro anni di PlayStation potrebbero essere riassunti con una parola: aridità (di idee e amore per il videogioco). Ad aggiungere un ulteriore chiodo alla bara è il fatto che, ad oggi, non esistono ancora vere e proprie esclusive o killer app che giustifichino l’acquisto di una PS5 (dato che, a parte il remake di Demon’s Souls, tutti i titoli a marchio Sony sono arrivati o arriveranno su PC).

Questo fino al fatidico 6 settembre 2024, data in cui un piccolo studio indipendente all’interno dei PlayStation Studios, ovvero il talentuosissimo Team Asobi, ha lanciato sul mercato un prodotto preziosissimo che, forse, potrebbe essere finalmente in grado di cambiare lo status quo o perlomeno di influenzarne l’evoluzione: Astro Bot.

Team Asobi: una piccola squadra dal cuore grande

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Prima di entrare nel vivo della recensione, un po’ di storia dello studio di sviluppo visto che non è molto conosciuto. Nato nel 2012 a Tokyo come divisione di Japan Studio, è capitanato dal direttore creativo Nicolas Doucet. Il nome del gruppo – formato da artisti occidentali e orientali – è fortemente indicativo: deriva infatti dalla parola giapponese “asobi” che significa proprio “giocare“. Ha raggiunto la fama a novembre 2020 con l’arrivo di PlayStation 5 nelle case dei giocatori, siccome – pre-installata nella console – era presente Astro’s Playroom, una demo tecnica delle nuove funzionalità introdotte dal controller DualSense (così come il precedente Astro Bot Rescue Mission del 2018 era servito per mettere in mostra le potenzialità di PlayStation VR).

Il software gratuito venne creato per essere una grande celebrazione del marchio PlayStation, delle sue esclusive e dei videogiochi che ne hanno fatto la storia. Per i numerosi easter egg presenti in esso, gli sviluppatori hanno consultato i direttori dei giochi originali come Katsuhiro Harada della serie Tekken e chiesto licenza a terze parti come Bandai Namco, Capcom, Square Enix, Konami, Activision e così via.

Una nuova missione spaziale per Astro

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Visto l’enorme successo di pubblico e critica di Astro’s Playroom, ottenuto grazie al suo gameplay variegato, al game design divertente e spensierato e soprattutto all’utilizzo massiccio delle capacità avanzate dell’ottimo DualSense (peculiarità replicata soltanto da opere come Death Stranding e poche altre), Team Asobi ha ben deciso di mantenere viva la sua mascotte robotica Astro Bot con un sequel omonimo che seguisse la stessa falsariga, espandendola con nuove idee dalla freschezza invidiabile. È nato così un prodotto in grado non solo di riportare in auge il genere dei platform 3D, ma anche di arricchire il parco titoli Sony con un’autentica killer app dopo anni di stagnazione.

Strano ma vero, Sony ha approvato un gioco diverso dai soliti “action in terza persona con una spiccata componente narrativa e cinematografica” che hanno stancato tutti (soprattutto il sottoscritto dopo aver recuperato solo recentemente, per citarne uno, Spider-Man: Miles Morales, ennesimo blockbuster fatto con lo stampino). Quasi a voler prendere in giro le manie di grandezza dei suddetti competitor recenti, Astro Bot offre una trama semplicissima e autoironica, perfetta per il tipo di gioco che vuole essere.

Il piccolo robot è in viaggio nello spazio profondo a bordo della sua astronave, una gigantesca PlayStation 5 senziente, accompagnato da centinaia di A5081, androidi simili a lui. La traversata spaziale viene improvvisamente interrotta da Nebulax, un prepotente alieno che prende d’assalto la nave per rubare la sua CPU. L’attacco è talmente violento che la console viene fatta a pezzi. A seguito dell’incidente, tutto l’equipaggio si disperde in varie nebulose e il povero Astro Bot viene catapultato in un pianeta desertico. Qui finisce anche lo scheletro della PS5 attorno al quale, come se fosse il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio, il nostro protagonista costruisce un campo base per organizzare la sua nuova missione: recuperare i componenti dell’astronave, ricostruirla e sconfiggere Nebulax per salvare gli amici dispersi (ben 304 bot).

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Nebulax in tutta la sua bruttezza.

Un simile incipit riporta subito alla mente pietre miliari dei platform e del videogioco tutto come Super Mario Galaxy o Crash Bandicoot 3: Warped ed è infatti da queste che vengono ereditate la struttura ludica, le atmosfere e alcune ambientazioni. Esplorando le già citate nebulose, infarcite di pianeti dalla conformazione sempre diversa, l’obiettivo è scovare i nostri simpatici amici insieme a immancabili collezionabili – ovvero pezzi di vari puzzle – che servono ad arricchire il campo base con strutture aggiuntive (che verranno approfondite in seguito).

Le aree presentano naturalmente una difficoltà crescente e culminano con coreografiche boss fight molto spettacolari e in più fasi. A stuzzicare, inoltre, è la presenza di numerosi livelli nascosti, sbloccabili in due modi: volando in giro per la mappa di gioco con il Dual Speeder di Astro o trovando portali segreti che conducono alla cosiddetta Galassia Perduta, interamente opzionale. Non solo: tra gli extra sono presenti anche specifiche sfide bonus dedicate ai quattro simboli storici di PlayStation – Triangolo, Cerchio, Quadrato e Croce – le più ostiche di tutte, proprio a voler smentire tutti i player convinti erroneamente dell’eccessiva semplicità dell’avventura. Queste prove brevi ma intense richiedono, non a caso, una perfetta conoscenza del gameplay e dei sistemi di movimento; affrontarle con nonchalance o fretta conduce solo a perdere facilmente la pazienza. Provare per credere.

Interazione e giocosità senza confini

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Il Dual Speeder con cui soccorrere i bot in pericolo.

A proposito di gameplay, il suo grande punto di forza sta nello sfruttare appieno il feedback aptico del DualSense, come sottolineato in precedenza. Il pad reagisce continuamente all’ambiente di gioco e alle azioni compiute (persino quelle che paiono più innocue), dando al giocatore un ampissimo numero di sensazioni tattili dettagliatissime quando, per esempio, si cammina su vari tipi di terreno – erba, roccia, ghiaccio, gomma… – o si combattono i nemici. La straordinaria gestione della fisica è la ciliegina sulla torta, poiché mette in bella mostra l’incredibile realismo di fluidi e materiali complessi come acqua, neve, fango, sabbia, tessuti, vetro e simili che modificano dinamicamente le normal map a seconda dell’oggetto che colpisce il materiale. Basta osservare come delle banali foglie galleggiano in un piccolo lago o come dell’acqua cola giù da un tetto per poter affermare che in questo videogioco la tecnologia diventa magia.

Ad aggiungere una buona dose di interattività sono dei gadget che donano ad Astro Bot dei superpoteri legati ai livelli che si attraversano: Handy-D, per nominarne uno, è una simpatica scimmietta dalle lunghe braccia, concepita per arrampicarsi su pareti specifiche. La scalata in questione avviene attraverso la pressione dei grilletti L2 e R2: è poi la maggior resistenza offerta dal feedback adattivo a fare la magia e a dare l’impressione di una vera salita tortuosa. Non mancano poi occasioni o potenziamenti che chiedono di utilizzare il giroscopio o persino il microfono per avanzare nell’avventura. In poche parole, interazione totale e profondamente immersiva, più unica che rara nel panorama odierno.

Per citare le parole dello Studio Director Nicolas Doucet: “Per il Team Asobi, il gameplay è tutto“. Un’affermazione dal peso non indifferente se contestualizzata nel periodo storico che stiamo vivendo per quanto concerne l’industria del videogioco. Doucet offre anche quest’altra riflessione, estrapolata da un’intervista sul PlayStation Blog: “I nostri punti di forza sono le idee. Tutti nel team sono sempre entusiasti, ispirati e motivati a creare qualcosa di nuovo”. Idee condensate nell’aspetto che subito salta all’occhio – o per meglio dire, alla mano – una volta iniziata l’avventura: ogni elemento a schermo è vivo e, ripeto, interagibile. Il Lead Gameplay Progammer Masayuki Yamada sintetizza: “Quando premi un pulsante è molto importante che il gioco reagisca istantaneamente per restituire un feeling generale di giocosità“. Uno scambio reciproco tangibile che coinvolge armoniosamente vista, udito e tatto.

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Volendo semplificare al massimo, Astro Bot non è altro che un felice e buffo incontro tra Litte Big Planet e Super Mario Odissey (con mille marce in più). Non a caso, l’obiettivo principale è recuperare i fedelissimi bot come se fossero le Stelle (o le Lune) dell’idraulico baffuto mentre si viaggia attraverso mondi sempre più pazzi dove scatenare il nostro bambino interiore. I 304 amici che richiedono il nostro soccorso sono nascosti furbamente all’interno di ogni livello: esplorare muovendo la visuale, prestando attenzione a passaggi segreti o alla verticalità di certi ambienti è fondamentale per scovarli tutti.

Gli amanti del completismo come il sottoscritto hanno poi la possibilità di arricchire il campo base con luoghi extra dopo aver raccolto abbastanza pezzi di vari puzzle. Queste strutture sono adibite alla decorazione del campo base stesso e alla personalizzazione di Astro e del suo Dual Speeder. Come nel precedente Astro’s Playroom, il posto dove si spenderanno più tempo e monete è un distributore automatico di Gachapon grazie al quale collezionare ben 169 accessori e memorabilia dedicati a specifici bot.

E chi sarebbero questi “specifici bot”? Semplice: personaggi e mascotte appartenenti alla trentennale eredità di PlayStation. Team Asobi ha collaborato a stretto contatto con tutti i PlayStation Studios che hanno accettato all’unanimità questo nostalgico gioco di squadra (a cui hanno preso parte anche editori terzi). Ciò ha portato all’inclusione di 150 “special guest”; un inno all’amicizia tra studios, cosa che non si vede spesso in un’era di competizione all’insegna del capitalismo sfrenato.

Trent’anni di PlayStation tra simpatiche mascotte e nostalgici easter egg

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Con un po’ di sano cinismo, si potrebbe dire che la base che accoglie tutti i bot non sia altro che un immenso cimitero di vecchie IP Sony o di antiche glorie rilasciate in esclusiva temporale. Il bello è che, a giudicare dall’andazzo della compagnia, restia a riportare in vita certi cavalli di battaglia, non si avrebbe torto. I “VIP” che è possibile incontrare fanno parte sia di titoli recenti e mainstream come God of War 4, Horizon Zero Dawn e The Last of Us, sia di saghe e opere purtroppo dimenticate come Ōkami, PaRappa the Rapper, Sly Cooper, Gravity Rush, il magistrale Ape Escape e tantissime altre.

In veste di archeologi videoludici, gli sviluppatori hanno ordito un omaggio con i fiocchi: i giocatori più stagionati che già conoscono a menadito l’antologia PlayStation si divertiranno come matti a trovare ogni easter egg (e magari verseranno qualche lacrima per il potenziale sprecato), i neofiti invece si riempiranno di curiosità e potrebbero decidere di recuperare qualche pezzo di storia. Fa ridere pensare che questa voglia di riscoperta promossa dal Team Asobi si scontri pesantemente con la direzione aziendale attuale di Sony che potrebbe essere riassunta così: “Rimasterizzare un gioco per PS4 che si chiama Bloodborne? Certo che no! Meglio rilanciare The Last of Us per la sesta volta di fila”.

A consolarci e a scacciare simili pensieri tristi ci pensano alcuni dei livelli più meticolosamente curati in Astro Bot e riservati ad alcune delle saghe sopracitate. Tra questi c’è Scimmie in Fuga, completamente modellato sulla già citata serie di Ape Escape, un “colpo basso” che ha risvegliato il mio lato infantile. In qualità di videogiocatore cresciuto a pane ed Ape Escape 2, con il pad in mano e in totale estasi, mi sono chiesto: essendo Saru! Get You! un’IP nata nel 1999 per rivaleggiare con colossi come Super Mario e Sonic, non sarebbe opportuno lanciare un revival per i giorni nostri? Un Ape Escape 4 su PS5, magari sviluppato proprio dal Team Asobi per rimpinguare l’aridissimo mercato dei platformer tripla A? Un uomo può sempre sognare.

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Si può svenire dalla gioia? Con Astro Bot sì.

In Scimmie in Fuga e negli altri mondi che seguono la stessa falsariga, si ripropongono le meccaniche principali dei giochi che vengono omaggiati, così come le colonne sonore opportunamente e sorprendentemente remixate per renderle coerenti con l’universo di Astro. Ci sarà un’occasione in cui, per esempio, vestiremo i panni del Kratos di God of War Ragnarök e, armati del fido Leviatano, combatteremo in gelide lande ricche di ostacoli e nemici da riempire di mazzate. Ogni minimo dettaglio è riportato a schermo in maniera eccellente.

La potenza visiva viene elevata da un’art direction fuori scala che dona a ogni cosa un look colorato, vibrante e gioioso, supportato da musiche sempre ritmate e frizzanti che fondono il rock, il pop e l’elettronica. L’estetica quasi prepotente di Astro Bot contrasta con forza una convinzione errata, ma radicata nei produttori e nei CEO di oggi: si pensa che un videogioco per essere attraente debba necessariamente mettersi in mostra con ray tracing, path tracing e fotorealismo; la realtà è ben diversa. Ciò che pesa di più nell’economia di una buona opera è proprio la direzione artistica e quando quest’ultima viene a mancare accadono disastri. Basti pensare alla tragica parabola di Call of Duty: Zombies, una saga ormai graficamente all’avanguardia, ma spenta, smorta, dozzinale e grigia nel design.

Mettendo insieme questi elementi, sorge un’ulteriore riflessione sul medium videoludico: oggigiorno gli sviluppatori occidentali sembrano aver scordato come modellare un prodotto accattivante. Non è un caso se l’industria è in mano a produzioni orientali in grossa crescita. Il pubblico non vuole realismo a tutti i costi o “opere quadrupla A” per citare una morente Ubisoft, il pubblico vuole tornare a giocare. Da indipendente, Hideo Kojima – il caso di studio giapponese più lampante – lo ha dimostrato ampiamente, unendo il meglio dei due schieramenti: il realismo hollywoodiano e una giocosità stratificata.

Un comparto tecnico inattaccabile

astro bot

In un clima del genere è quindi incredibile constatare la perfezione tecnica e artistica di Astro Bot. L’aver sfruttato consapevolmente l’hardware di PlayStation 5 e un motore in-house ha permesso di avere pochi e brevissimi caricamenti che non minano il ritmo di gioco e, soprattutto, un frame rate ancorato ai 6o fps, persino in situazioni dove volutamente la console deve mostrare i muscoli. Parlo di livelli ricchi di particellari e oggetti, proprio come quelli dello sfortunato Knack, esclusiva PlayStation di ben sette anni fa. Construction Derby, a questo proposito, è un grande cantiere da attraversare interagendo con gru, palle da demolizione, vetrate da spaccare, muri di mattoni da sfondare, macerie, polvere, centinaia di viti e bulloni… tutti elementi che farebbero decollare qualsiasi console, ma in Astro Bot nemmeno la risoluzione dinamica viene scalfita, mantenendosi tra i 2160p e i 1440p, senza mai scendere al di sotto.

La mancanza di effetti di ghosting o artefatti grafici palesa, infine, un ottimo polishing generale che rende l’immagine finale pulita e il platforming liscio come l’olio. È presente anche il supporto per l’HDR nel caso qualcuno desideri colori ancora più accesi e brillanti.

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Cara Sony, basta scherzare, dacci Bloodborne su PS5 e PC.

Tirando le somme, Astro Bot non è uno scialbo calderone che si regge in piedi solo grazie al citazionismo, bensì un mix fresco ed eccellente di nostalgia e ottime idee di cui sentiamo tanto la mancanza nel mercato. Una creazione fatta con amore proveniente da un universo alternativo dove i game designer conoscono ancora il significato della parola “divertimento“. Per me il Game of the Year di quest’anno.

Astro Bot è una “bestia rara” del gaming moderno: un tripla A con alle spalle un team composto da sole 65 persone, completato in soli quattro anni e che sfrutta appieno le possibilità creative e tecniche offerte dalla contemporaneità. C’è un estremo bisogno di giochi unici così, costruiti da artisti con una visione, non da squadre di investitori o amministratori delegati.

Piccola nota a margine: il gioco è stato rilasciato quasi in concomitanza con il fallimento e le bocciature di Concord; un fatto, spero, profetico nonché una splendida coincidenza. Tutti dovrebbero osservare attentamente l’operato di Team Asobi e prendere appunti perché la loro ultima fatica potrebbe non cambiarvi la vita, ma potrebbe essere la punta di diamante che darà inizio alla rivoluzione dell’industria.

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Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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