Nosferatu – Robert Eggers sulle orme di Murnau

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Voto:

Ogni artista a un certo punto della sua carriera decide di lanciarsi in un passion project. Nella storia del cinema ce ne sono stati tanti, di tutti i tipi e più o meno riusciti: dall’intramontabile Quarto Potere di Orson Welles che ha rivoluzionato il suo medium di appartenenza, a Twin Peaks: Fuoco cammina con me, nato dopo la rivoluzione che Lynch a sua volta aveva attuato nel mondo televisivo. Opere di questo tipo richiedono grandi spinte creative e soprattutto il sostegno dei produttori per vedere la luce; pensate quindi che fatica deve aver fatto il buon Robert Eggers (The Lighthouse, The Northman) per convincere i colleghi a dar vita a un tributoNosferatu il vampiro di Murnau, datato 1922 e caposaldo nonché punta di diamante del cinema mondiale.

I film sui vampiri, ispirati direttamente o meno al romanzo di Bram Stoker, sono numerosissimi e in questo caso è impossibile non riportare alla mente i due eccellenti adattamenti di Herzog e Coppola, rispettivamente del 1979 e del 1992, tanto affini quanto estremamente diversi. Eggers ha voluto dare in pasto al pubblico la sua visione e ha tenuto a sottolineare più volte che non si tratta di un remake – cosa ribadita anche da Willem Dafoe a Roma, in occasione dell’anteprima italiana del film – bensì di un lungometraggio originale e personale dalla gestazione quasi decennale e ispirato al soggetto scritto da Henrik Galeen per la pellicola del 1922.

Dafoe, attore ormai alla terza collaborazione con il regista statunitense, ha raccontato anche che il capolavoro horror di Murnau ossessiona Eggers sin da quando era bambino: a soli nove anni, infatti, lo vide per la prima volta rimanendone affascinato. In certe cose, si sa, la passione da sola non basta ed è dunque lecito chiedersi: questo Nosferatu, con alle spalle dei mostri sacri tanto acclamati, riesce a ritagliarsi uno spazio e a esprimere a dovere l’amore del suo autore?

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Descrivere la trama di Nosferatu dovrebbe essere superfluo, ma per tutti coloro che finora hanno vissuto in una caverna – o in un maniero sperduto tra le vette dei Carpazi come il Conte Orlok – seguono le premesse che, questa volta, presentano alcune differenze con la versione degli anni Venti. Le vicende prendono piede nel 1838 a Wisborg, in Germania, un paesello dove vive Thomas Hutter (Nicholas Hoult), agente immobiliare squattrinato che cerca di guadagnare qualche soldo per vivere insieme alla bellissima moglie Ellen (Lily-Rose Depp).

Il capo di Thomas è lo scorbutico Knock (uno splendido Simon McBurney), che un giorno riceve una curiosa richiesta: il Conte Orlok (Bill Skarsgård), un nobile che risiede in un sinistro castello della Transilvania, vuole acquistare una tenuta nella stessa città di Thomas e chiede che sia proprio quest’ultimo – di persona – a siglarne il contratto. Il giovane apprendista è allora costretto a partire per un estenuante viaggio nella gelida Romania per concludere l’accordo con il conte; ciò che ignora, tuttavia, è un terribile segreto: Orlok è in realtà un temibile vampiro pronto a portare disgrazia nella sua vita e, soprattutto, nell’esistenza della povera Ellen.

La donna, infatti, come si apprende nel corso della storia, pare essere legata spiritualmente alla figura del mostro. Tale maledizione ha gravi ripercussioni sulla sua psiche, messa a dura prova da visioni e crisi isteriche. Thomas, desideroso di proteggerla, la affida alle cure dell’amico Friedrich Harding (Aaron Taylor-Johnson), il ricco armatore del porto di Wisborg, e della sua compagna Anna (Emma Corrin), migliore amica di Ellen. L’ombra di Nosferatu, purtroppo, contamina a poco a poco la cittadina e le esistenze di questa piccola comunità vengono sconvolte da eventi sempre più agghiaccianti e grotteschi.

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Sin dalla prima inquadratura, il film mette in bella mostra la firma del suo regista: Robert Eggers, grazie ai molteplici successi di pubblico e critica, gode delle risorse per imbastire una messa in scena che rapisce subito lo spettatore, complice l’ottima ricostruzione storica e folkloristica ad opera di due fidati collaboratori del cineasta americano: lo scenografo Craig Lathrop e la costumista Linda Muir.

Se il colossale The Northman puntava più su una componente epica, fusa al dramma shakespeariano, qui l’impianto drammaturgico è più ridotto e contraddistinto dal simbolismo occulto proprio della filmografia di Friedrich Wilhelm Murnau, ma non per questo meno impattante. A incuriosire è, difatti, la grande attenzione riservata alla tradizione religiosa rumena e dei popoli romaní, il filo rosso degli avvenimenti che arricchisce le atmosfere gotiche e decadenti.

L’autore non è nuovo a innesti di questo genere, basti pensare alla sua opera prima The Witch. Si tratta di elementi carichi di sacralità che incutono timore, specialmente nel misero Thomas che durante il suo viaggio entra in contatto con popolazioni nomadi che lo mettono in guardia sulla pericolosità del Conte Orlok. Nella versione in lingua originale, i gitani – così come il Conte stesso – parlano in rumeno o in un inglese sporcato da un forte accento, un’aggiunta che – come nel caso dell’incomprensibile inglese marinaresco di fine Ottocento usato in The Lighthouse – ho apprezzato molto, dato che immerge ancora di più nelle ambientazioni tanto inospitali quanto affascinanti della Romania (nazione che oltretutto ha ospitato parte delle riprese, svoltesi al Castello dei Corvino).

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Questa dimensione liturgica viene incarnata in tutto e per tutto da un personaggio inedito che potremmo definire una leggera licenza poetica: il professor Albin Eberhart Von Franz, interpretato magistralmente da un sempreverde Willem Dafoe (La Fiera delle Illusioni, Povere Creature). L’enigmatico ed eccentrico dottore non compare nella sceneggiatura originale del Nosferatu di Murnau né in altre opere dedicate alla creatura; potremmo quindi considerarlo un personalissimo omaggio all’Abraham Van Helsing nato con il romanzo Dracula e poi ricomparso decine di volte nelle relative trasposizioni. Proprio come il sopracitato cacciatore, Von Franz è un ex professore universitario e filosofo metafisico, esperto di occultismo, demonologia, esorcismi, mesmerismo e qualsiasi altra branca della scienza arcana: un vecchio pazzo assolutamente intrigante e che strappa persino qualche risata.

La sua presenza cambia gli equilibri del racconto, in quanto si dichiara nemico giurato di Satana e di Orlok, sua personificazione da incubo e – sociologicamente parlando – manifestazione fisica delle paure collettive del popolo. Thomas ed Ellen fanno affidamento a lui per tentare di spezzare la maledizione che li attanaglia e che rischia di sterminare Wisborg con un’epidemia di peste. A essere decisamente scettici sono invece Friedrich e Anna che fanno risalire il malessere dell’amica a una banale nevrosi. La sfida di Albin – il comprimario migliore in assoluto – sta quindi nel convincere il gruppo della matrice sovrannaturale che infesta le loro vite, in uno scontro dialettico tra la modernità illuminista e le superstizioni (fondate) risalenti al Medioevo. Scontro che richiama l’analisi del saggista Siegfried Kracauer, secondo cui il vampiro è il “simbolo metafisico dell’oscurantismo“. Se siete interessati a certe tematiche, vi invito caldamente a esplorarle nel saggio Da Caligari a Hitler: una storia psicologica del cinema tedesco.

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Il secondo atto del film è pertanto teatro di battaglie ideologiche in cui si contrappongono scienza e fede, razionale e irrazionale. L’oscuro presagio mortifero di Orlok contro il sapere accademico (benché poco ortodosso). Vengono tirate in ballo, mescolate e romanzate suggestioni di varia provenienza: dagli studi di alchimia di Paracelso agli scritti dei Solomonari, stregoni del folklore rumeno, legati a doppio filo con le leggende transilvane e, naturalmente, con il Dracula di Bram Stoker da cui Eggers attinge a piene mani per rendere credibile la dimensione satanista che permea la storia.

A questo proposito, è curioso notare come, nel Nosferatu originale, la figura di Van Helsing non sia presente e non abbia un equivalente, cosa che invece accade con tutti gli altri comprimari mutuati dal romanzo di Stoker. Von Franz è un saggio che istilla sicurezza, contrapposto ai coniugi Harding che, invece di difendersi attivamente contro la corruzione, rimangono passivi e immobili; incapaci di svegliarsi dai loro incubi (come la società tedesca che, dopo la disastrosa Prima guerra mondiale, è stata trascinata con compiacenza verso la dittatura del Terzo Reich).

Insomma, il carattere spiccatamente folk di Nosferatu è ciò che, personalmente, mi ha incantato di più insieme alle sue piccole follie parareligiose. Per non parlare poi di tutto il terzo e ultimo atto che battezzerei con il titolo “La Caccia“, in onore di Bloodborne, dal momento che la corsa contro il tempo per sconfiggere il Conte ricorda molto da vicino il videogioco targato FromSoftware, complici molteplici riferimenti al “sangue infetto” del vampiro per antonomasia. Un vampiro che, esteticamente, è il risultato di una perfetta fusione tra l’iconico Max Schrek e la fisionomia di Vlad l’Impalatore, principe di Valacchia e fonte d’ispirazione per la nascita del Conte Dracula; una scelta furba ma dannatamente efficace.

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Siamo al terzo film di Eggers in cui Dafoe si comporta da pazzo furioso e a me va benissimo così.

Bill Skarsgård (John Wick 4, IT) veste questi panni con estrema naturalezza e lascia senza parole grazie a un’interpretazione difficilissima che coinvolge voce e gestualità. Per impersonare il nobile, l’attore fa quasi totalmente affidamento a una voce rauca e dai toni bassi, quasi graffiante, accompagnata da un respiro pesante e malaticcio. Questi tocchi da maestro – da assaporare rigorosamente in lingua originale! – inquietano anche quando Skarsgård è fuori campo, cosa che accade spesso, siccome la macchina da presa decide coscientemente di inquadrarlo poche volte – e spesso in penombra – per accrescere il suo alone di mistero e l’ansia che suscita. Le sue entrate in scena rimangono impresse nella mente dello spettatore anche per merito di pochi gesti calcolati: dei dettagli sulle sue unghie affilate o sulle sue dita adunche bastano per far sudare freddo.

A dirla tutta, ogni membro del cast ha svolto un lavoro egregio. Se Nicholas Hoult (The Menu, Renfield) e Aaron Taylor Johnson (The King’s Man, Bullet Train) si dimostrano ancora una volta artisti maturi e di livello, sorprende invece la performance di Lily-Rose Depp che con la sua sensualità innocente dona all’opera dei frangenti erotici, propri anche dell’adattamento di Herzog. Quello tra Ellen e Nosferatu è un amore perverso e carnale che si articola attraverso sogni in bilico tra realtà e fantasia; visioni che sfidano il pubblico, chiamato a distinguere la verità dal delirio assoluto. La sessualità è una componente intrinseca del Nosferatu di Murnau e di tutte le narrazioni vampiresche; questa iterazione non fa eccezione: come nel Novecento, la sessualità repressa della giovane sposa incrina la sua vita di coppia idilliaca e fondamentalmente casta.

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L’eccezionale direzione della fotografia di Jarin Blaschke, DOP di fiducia in tutta la carriera di Eggers, corona quanto raccontato finora. Nosferatu è un lungometraggio che oserei definire umbratile, virato su funeree tinte bluastre e votato al buio soffocante. La maggior parte delle scene sono avvolte dalle tenebre, un’oscurità che viene gestita giocando con silhouette, tagli vagamente espressionisti e inquadrature controluce. Le figure emergono dalle tenebre per poi ritornarci, in una danza macabra che non rinuncia a ovvie e apprezzate citazioni visive al Murnau del 1922.

La regia pulita e calcolata è caratterizzata da una cinepresa che appare tanto attratta quanto “spaventata” dal Conte Orlok: lo segue con movimenti lentissimi e sottolinea il suo aspetto sovrannaturale, arricchendo l’immagine con occasionali primissimi piani che strizzano l’occhio al Kammerspiel. I paesaggi schiaccianti e paurosi vengono esplorati con frequenti carrellate che creano “turbini visivi” atti a disorientare, per citare la celebre critica Lotte Eisner e il suo libro Lo schermo demoniaco del 1952, pietra miliare dell’analisi del cinema europeo.

Il ritmo viene scandito dal montaggio alternato di Louise Ford che sfrutta numerosi tagli fantasma e match cut per passare da una scena all’altra senza soluzione di continuità. Tale precisione rende lo scorrere degli eventi molto fluido e le 2 ore abbondanti necessarie per giungere ai titoli di coda volano sotto gli occhi. Gli archi stridenti e pastosi che spadroneggiano nelle musiche di Robin Carolan (The Northman) sono infine la ciliegina sulla torta.

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Fatico a comprendere le critiche di alcuni detrattori che – ad anteprima conclusa – hanno definito quest’opera “pesante, lenta e ridondante” o, peggio, “sciocca”. In fondo, abbraccia dichiaratamente lo stile narrativo del cinema espressionista tedesco e quella che può essere erroneamente considerata “lentezza” – termine ormai abusato all’inverosimile – non è altro che un’impostazione più rigorosa e tradizionale. Certo, di contro, non tutti digeriranno l’estetizzazione più marcata e moderna da sempre marchio di fabbrica di Eggers, ma definire Nosferatu un prodotto frivolo significa essere miopi a dir poco.

Se vogliamo davvero parlare di cose stupide, possiamo dire che a essere realmente idiota è l’ennesima, sterile gara tra film che molti stanno già portando avanti su internet, confrontando al microscopio questa pellicola con quelle di Herzog e Coppola per decretare “la migliore”. Sono tre letture dello stesso immaginario, questo è vero, ma sono anche talmente diverse fra loro che bisticciare affossando l’una o l’altra denota una superficialità sconfortante. I parallelismi non sono vietati, ovviamente, e paragonare più adattamenti è un lavoro che può favorire la nascita di discussioni stimolanti; perché dunque volgarizzare il tutto sparando sentenze che lasciano il tempo che trovano?

Voglio concludere questa mia disamina con una scommessa azzardata: anche questo Nosferatu diventerà un instant cult. È un progetto enorme che ha mosso i primi passi nel lontano 2015: da allora è stato rimaneggiato, rinviato e infine persino co-prodotto da un Robert Eggers in ottima forma che, come tutti i grandi talenti, viene elogiato dagli appassionati e deriso dagli invidiosi. Raccontare da zero la parabola di uno dei mostri più amati del mondo non deve essere stata un’impresa facile, ma similmente a quanto accaduto con il Pinocchio di Guillermo del Toro, questa nuova iterazione riesce ad attrarre pur percorrendo strade già note. Io, nel mio piccolo, ho tentato di svelare i “segreti” del suo trionfo, conscio che molti altri rimarranno nascosti nella mente del suo autore, come un vampiro che fugge dalla luce del sole.

Un ringraziamento speciale a Universal Pictures Italia

Nefasto Articoli
Videogiocatore incallito, cinefilo dalla nascita, attore di teatro e batterista da diversi anni. Adoro approfondire qualsiasi cosa abbia a che fare con l'arte e l'audiovisivo: è difficile fermarmi quando inizio a scrivere o a parlare focosamente di ciò che amo.

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