Una Serie di Sfortunati Eventi

Una Serie di Sfortunati Eventi recensione

Voto:

Quando mi sono presa l’incarico di scrivere questa recensione, pensavo di riuscire a pubblicarla entro pochi giorni dall’uscita della serie, ma avevo dimenticato la scadenza dell’abbonamento a Netflix, poi è arrivata la neve, coi problemi alla linea, poi il terremoto (indovinate dove vivo…) e ancora più problemi alla linea. Giorni senza internet da casa o senza telefono, misteriosi malfunzionamenti, altri simpaticissimi problemi alla linea ed infine eccomi qua, a sperare che la maledizione che ha colpito questa recensione sia finalmente finita e mi permetta di pubblicarla. Ma, se c’è un lato positivo di Netflix, è che le sue serie sono sempre lì, sempre disponibili secondo i tempi e le possibilità di ciascuno, e per questo nessuna recensione è mai veramente in ritardo, perché c’è sempre qualcuno di indeciso, di impegnato o semplicemente di non ancora abbonato alla ricerca di pareri che possano aiutarlo a scegliere cosa guardare e cosa no; quindi non mi sono persa d’animo sicura che, vista l’ondata di sfiga che mi ha colta assieme all’arrivo della serie, questa recensione sarà sicuramente molto sentita. Specie considerando che oggi è pur sempre Venerdì 17 e, forse, la mia personalissima Serie di Sfortunati Eventi non è ancora conclusa. Entro stasera potrei scoprire di essere la quarta sorella Baudelaire e mi ritroverò il Conte Olaf alla porta travestito da tecnico della linea telefonica. Dati i tempi che corrono, è più probabile di quanto non pensiate.

Chiamatemi pure Lithyan Baudelaire, e ora passiamo pure al motivo per cui sto scrivendo.

Violet, Sunny e Klaus Baudelaire nella serie. Ci sono anche io, ma sono sotto la scrivania.

Quando Netflix annunciò di star lavorando ad una serie basata su ”Una Serie di Sfortunati Eventi”, ciclo di 13 libri firmato Lemony Snicket, pensai fosse una scelta coraggiosa. Dai primi tre libri del ciclo è già stato tratto il film del 2004 ”Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi”, largamente apprezzato e con un grandioso Jim Carrey nei panni del Conte Olaf. Un simile precedente poteva essere fonte di pesanti confronti a discapito della serie, oltre che influire in modo rilevante su di essa rischiando di farla risultare una ripetizione, se non addirittura una scopiazzatura.

Jim Carrey VS Neil Patrick Harris. L’ex Barney Stinson sarà riuscito a reggere il confronto col gigante?

Riassumiamo velocemente la trama: Violet, Klaus e Sunny Baudelaire sono due ragazzi e una neonata adorabili, colti e brillanti. I tre rimangono sfortunatamente orfani a causa di un incendio e, da quel momento, la loro fortuna sparisce: per degli strani cavilli vengono affidati ad un orribile tutore: il Conte Olaf, un aspirante attore fallito e megalomane che mira soltanto alla loro eredità. Il Conte diverrà per i tre una vera persecuzione, rintracciandoli ovunque andranno, tormentandoli in ogni modo ed esibendosi in travestimenti tanto pessimi e assurdi da fare concorrenza al Team Rocket (e ingannando adulti con lo stesso acume di Ash Ketchum – nota necessaria). Man mano che le disavventure degli orfani Baudelaire proseguono, emergono indizi sul segreto che univa i loro genitori a tutti i loro possibili tutori, incluso il perfido Olaf, delineando il mistero che avvolge la loro morte improvvisa.

La trama, ovviamente, è rimasta la stessa ma il coraggio è stato ben sfruttato, le aspettative create sono state ripagate e la serie ha dimostrato come la stessa cosa possa essere abilmente resa in modo diverso puntando su tutto quello che, in precedenza, è stato omesso, rivisitato o semplicemente spostato in secondo piano. Le differenze tra film e libri, e quindi tra film e serie, sono abbastanza da rendere la storia godibile e nuova sotto diversi aspetti, nonché arricchita di nuovi particolari. Il risultato è gradevole e geniale.

La serie si ispira molto fedelmente ai primi quattro libri dell’omonimo ciclo, mentre il film riprende soltanto i primi tre apportando diversi tagli e rimaneggiamenti dovuti alle esigenze e tempistiche del format. Non è priva di difetti, ma è certamente un prodotto ben eseguito, godibile e in linea con lo spirito dei libri. In molti l’hanno criticata definendola lenta e confusa, ma io posso essere d’accordo solo riguardo al primo aggettivo perché di confuso c’è molto, molto poco. Forse la presenza dei monologhi di Lemony Snicket, che funge da narratore dei fatti e si presenta ad intervallare il corso degli episodi, può aver destabilizzato alcune menti ma di certo non rende la trama confusa, al contrario: le sue parole sono sempre fortemente connesse alle vicende, a volte ambigue ma sempre volte all’interpretazione o all’arricchimento dei fatti. Personalmente non ho riscontrato altri elementi che potessero portare confusione: la trama è lineare, le sotto-trame vengono inserite con un senso perfettamente intuibile o vengono risolte sul finale, i personaggi si muovono in modo coerente allo spirito della serie e ci si sofferma con attenzione minuziosa sui particolari. A questo proposito, una dovizia certosina è riservata agli indizi sul mistero dietro tutta la vicenda, ben costruiti ed abilmente sparsi tra le scene (fate molta attenzione durante i monologhi di Snicket), che svelano nuovi particolari col giusto ritmo, creando curiosità.

Riguardo alla lentezza, invece, mi trovo d’accordo, anche se non è certo ingiustificata. Alcuni momenti hanno più di un motivo per presentarsi in maniera lenta, a volte sicuramente eccessiva e un po’ pesante ma chiaramente voluta, non casuale. Questa imperfezione risulta accentuata se si è visto il film, che resta involontariamente un termine di paragone ed è per ovvi motivi più veloce; ma il film è anche più leggero e allegro della serie, più concentrato sugli elementi buffonistici e assurdi delle vicende senza soffermarsi su quelli più oscuri e sgradevoli, elementi su cui la serie si sofferma e che incidono fortemente sul risultato, che è decisamente più intriso di black humor rispetto a quello cinematografico.

Già soltanto il primo episodio è un tripudio di freddezza e insensibilità umana verso la tragedia dei tre orfani, che si ritrovano in un mondo privo di empatia, dove chi dovrebbe occuparsi di loro è troppo preso da se stesso per notare gli elementi importanti, e chi è gentile si trova schiacciato e reso impotente da questo egoismo. Se avete mai avuto a che fare con persone prive di empatia, vi assicuro che entrare in comunione emotiva con i Baudelaire sarà facile (a meno che voi non facciate parte degli elementi privi di empatia, in quel caso spero vi serva come spunto di riflessione). Molti degli adulti che si muovono attorno ai Baudelaire sono sgradevoli, egocentrici, superficiali e ciechi di fronte alla realtà in modo esasperante, e concentrano in loro comportamenti contrastanti e assurdi che li fanno risultare irrimediabilmente stupidi. Questa esasperazione funziona ottimamente per creare un alternarsi di situazioni ridicole ed angosciose, lasciando un perenne senso di amarezza nello spettatore che riconoscerà contraddizioni e difetti tipici della società umana mantenendo comunque il sorriso sulle labbra.

Tra tutti i personaggi di Olaf, Stephàno è stato il mio preferito. Se non lo avete apprezzato, siete per forza delle brutte persone.

Tra tutte le persone sgradevoli e grottesche, emerge ovviamente trionfante il Conte Olaf: perfido, megalomane, spregevole, subdolo e senza scrupoli al punto da risultare a tratti disgustoso, ma indubbiamente creativo, carismatico ed esilarante nella sua triste ridicolaggine, stupido ma ingegnoso. Accompagnato dalla sua sgangherata compagnia teatrale composta da brutti ceffi incompetenti, si destreggia tra idee surreali e azioni deplorevoli, riuscendo a far divertire con la sua bizzarra malvagità. Neil Patrick Harris lo interpreta in modo perfetto, riuscendo a gestire sia i momenti comici che quelli pesanti, risultando un Conte Olaf diverso da quello di Jim Carrey ma credibile, complesso e certamente più adatto ad un prodotto che mira a sviscerare i libri mostrandone anche i risvolti più oscuri, come gli abusi che il Conte si diverte a riservare agli orfani.

Restando sul tema delle interpretazioni, ho trovato azzeccata anche la scelta degli altri attori: Malina Weissman (Violet) e Louis Hynes (Klaus) richiamano fisicamente gli attori scelti nel film, facilitando allo spettatore l’eventuale passaggio dal film alla serie, ma il loro look diverso rende subito chiaro che la somiglianza più stretta si limita a quello: i due ragazzi riescono a rendere i personaggi in maniera personale, più incentrata sui loro stati d’animo che nel film, e questo crea una buona differenzazione. Patrick Warburton è un Lemony Snicket affascinante e una calda voce narrante, mentre K. Todd Freeman riesce a rendere un freddo e grigio Arthur Poe, caratterizzato da una fastidiosissima tosse e da una mente ottusa, ma capace comunque di risultare divertente nel contesto. Da menzionare la presenza di Catherine O’Hara, che nel film ha interpretato il Giudice Strauss e qui torna in altre vesti, e anche di Cobie Smulders, la Robin Scherbatsky di How I Met Your Mother, serie che è stata letteralmente sia il suo trampolino di lancio che quello di Harris.

“Certe abitudini non si perdono, fanno giri immensi e poi ritornano.”

Ultima ma non ultima, la piccolissima Presley Smith che presta il suo volto a Sunny Baudelaire. Di certo è eccessivo parlare di “recitazione” quando si ha a che fare con una bimba tanto piccola (e a volte resa con un’animazione digitale non proprio bellissima da vedere) ma è innegabilmente adorabile.

Riguardo alle scene, a parte i momenti con la Sunny digitale e non proprio gradevole alla vista, le atmosfere sono per lo più scure ed inquietanti ma hanno un fascino sia vittoriano che vintage e si prestano ad accompagnare lo stato d’animo che permea i momenti con una cura non sempre perfetta ma buona, e lo stesso discorso vale per le inquadrature.

Un’ultima annotazione necessaria va alla sigla: strana e in un certo senso inaspettata al primo ascolto, deliziosamente accattivante dal secondo in avanti. Cantata da Neil Patrick Harris in persona, si adatta nella parte centrale agli episodi in corso. Un gioiellino che entra nel cervello e non ne esce più.

Il risultato finale è una serie piacevole, capace di ritagliarsi il suo spazio accanto al film pregresso in ogni caso, con un cast valido che ha saputo dare la sua impronta alla storia e un Conte Olaf che potrete anche non preferire affatto a Jim Carrey, ma che lascia comunque una buonissima impressione. Che troviate il film nettamente superiore ad essa o meno, c’è un lato positivo fondamentale e innegabile a darle una marcia in più: il fatto che la serie continuerà e coprirà tutti i libri del ciclo, accompagnandoci fino allo scoprire cosa si nasconde davvero dietro alla tragedia dei Baudelaire, sperando che mantenga la stessa qualità e lo stesso grado di attenzione verso la trama originale.

Ogni volta che qualcuno ignora la serie, il Conte Olaf versa una lacrima per la sua performance sprecata. Guardatela o vi costringerà a pulirgli il bagno.

    Sigla in lingua originale:

    Lithyan Articoli
    Una giovane donna che sente di essere una vecchia di 70 anni con lo spirito di una ragazzina di 16. Appassionata di serie tv e qualsiasi cosa sia leggibile, la sua triplice età la rende in grado sia di entusiasmarsi come la più esaltata delle bimbaminkia, sia di criticare tutto come un anziano che fissa un cantiere, anche contemporaneamente.

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